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Dopo 1000 anni uno sguardo sul Monastero Basiliano di S. Elia Vecchio e sul Platano Orientale di Curinga.
     Molte le definizioni sul nome di Curinga dalle storiche alle più fantasiose, ma per non perderci in disquisizioni diremo solo che Curìnga o meglio Cùrnga potrebbe derivare da<< ghorizo >> (χωριξω) = essere lontano e da << ghe >> (γη) ,che significa terra, quindi Terra Lontana (Riferita a Laconia il primo insediamento situato nel centro geografico della piana di S. Eufemia). Curinga è un borgo nato intorno all’ anno 1000 dall’ insediamento di piccole comunita’, che lasciata Laconia, per le continue incursioni saracene e per la malaria che affliggeva le terre acquitrinose della piana di S. Eufemia, si spostò nell’ entroterra collinare da dove la popolazione si sentiva più sicura e protetta. Il paese è situato tra due mari, il Tirreno ad ovest e lo Jonio ad est, si trova inoltre, grosso modo, sulla direttrice  tra la Calabria Ultra (Calabria greca) e la Calabria Citra (Calabria latina), tale dislocazione geografica  si manifesta macroscopicamente anche dalla lingua parlata; il nostro idioma , si rifà alla Calabria greca, mentre sappiamo che già a pochi Km di distanza, divisa solo dal fiume Amato e dal profondo istmo di Marcellinara,  a Lamezia Terme e al suo nord la lingua è prettamente latina.
Oltre a queste notizie, sappiamo che il territorio di Curinga, fu abitato fin dal paleolitico, cioè dal settimo millennio in poi; queste notizie e fatti, sono stati surrogati sulla scorta di importanti ritrovamenti archeologici. Addentrandoci più nel particolare, tralasciando le varie tappe artistiche archelogiche e ambientali curinghesi: le Terme Romane del IV sec d.C., la bella chiesa  dell’ Immacolata , il Santuario del Carmine con il suo sepolcreto, i palazzi gentilizi tra le stradine caratteristiche del centro storico, l’ area umida di Imbutillo, puntiamo il nostro sguardo e la nostra attenzione, su due importanti testimonianze che destano grande interesse e notevole curiosità.
 Il Platano Orientale. La natura ci ha regalato una meraviglia di indiscusso interesse botanico , una vita vegetale che nasceva 1000 anni fa dalle dimensioni eccezionali l’altezza, 31,50 metri. la circonferenza risulta di 14,50 m..all interno del suo tronco cavo alla base possono entrare almeno 10 persone.  Il platano in questi mille anni ha visto o percepito con la sensibilità che appartiene solo al mondo vegetale: grandi spiritualità,  culture nuove, terremoti, ricostruzioni, invasioni ,sconvolgimenti politici, ecc… ecc… Nonostante tutto, immobile, possente, ha accolto tutti: pastori, monaci, briganti, viandanti e con la voce delle sue fronde ci racconta il tempo .
      La Calabria , l’ Italia  e l’ Europa, si accorgono di questo neonata meraviglia di 1000 anni, per il clamore che attraverso i media ha suscitato giungendo al primo posto in Italia  nel Giant Trees Foundation – onlus ets 20 novembre 2020  e  viene proclamato vincitore del contest italiano Tree of the Year 2020  con oltre 50.000 voti, come albero più bello più  maestoso, più vecchio e più amato . L’ anno successivo partecipa per l’ Italia al prestigioso Tree of the Year 2021 (L’albero più amato in Europa) con 78.210 voti si è aggiudicato il 2º POSTO. Grande soddisfazione, di tutti i curinghesi e gli italiani sparsi nel mondo.
Un’ aura tra storia, legenda e mistero circonda il Platano; in tutto l’Oriente veniva considerato un albero sacro, simbolo di Dio e pertanto piantato vicino ai templi e alle fonti (Platano e acqua sono spesso rammentati assieme nei testi storici a sottolinearne la sacralità). Albero sacro quindi e, forse anche per questo gli abitanti, i pastori ,i boscaioli di questa contrada, nelle tante generazioni passate lo hanno rispettato e salvaguardato, considerandolo come nume protettore che da sempre veglia e  protegge questo luogo.  Il Genius Loci ci parla sottovoce, con le sue fronde e ci indica un punto più a monte da dove un monaco basiliano del monastero di Sant’ Elia Vecchio ha portato dalla sua terra (probabilmente l’ Armenia) un piccolo albero da piantare nella sua nuova patria.
Tra storia , legenda, sogno , realtà, archeoastronomia , ma soprattutto fede , si erge la cupola del Sant’ Elia Vecchio, tra terra e cielo. Il monastero fu costruito presumibilmente nell’ anno mille da Monaci Basiliani, la tradizione vuole che il fondatore sia stato Fra Giovanni Giacomo Tagliaferro. La cupola perfetta e le vestigia del monastero sono incastonate in un contesto paesaggistico mozzafiato, a circa 400 m s.l.m , affacciati sul tirreno  e lo Stromboli fumante. La costruzione protrattasi nel corso dei secoli presenta cin¬que differenti fasi edilizie, caratterizzate da altrettanti tipi di apparecchiature murarie differenti. La grande navata centrale che si lega alla cupola è appena accennata nelle fondamenta e non è mai stata portata a termine. In totale si contano attualmente quattor¬dici ambienti Sicuramente la parte più imponente e caratteristica è la cupola carat¬terizzata da un vano absidale quadrato. un tamburo circolare sormontato da una cupola in pietra. Internamente il rapporto tra quadrato di base e tamburo cilindrico è sottolineato mediante una fascia di bloc¬chi in pietra arenaria, finemente scolpiti con un motivo a treccia convessa con bottone centrale.  Sulla cupola si trovano ancora i resti della lanterna rettangolare, in pietra, che circondava l’occhio circolare e sva¬sato ad imbuto. La luce entrava attraverso due coppie di finestre perpendicolari tra loro , poste sui lati est e ovest.  Sopra la tamponatura dell’arco della cupola si trova uno stemma feudale in pietra arenaria, lo stemma frutto molto probabilmente della fusione degli stemmi di due famiglie nobili
Il convento da Basiliano dopo la riforma carmelitana  diventa nel 1632 Carmelitano. Da quel momento storico in poi, inizia un nuovo corso. Poco fuori dell’abitato di Curinga, su un promontorio che domina la vallata e il mare, si inizia a costruire un nuovo convento (1652) denominato Sant’ Elia Nuovo, il trasferimento della comunità monastica avviene nel 1662 e il nuovo complesso monastico viene dedicato alla  Madonna del Carmine.
    Quello su cui a questo punto vorremo soffermarci, è il Sant’ Elia Vecchio sotto un occhio alquanto singolare e scientificamente di grande rilevanza; la sua dislocazione rispetto alle coordinate costruttive, che proiettano il monastero, probabilmente, in una dimensione storica non certamente databile, ma frutto di probabile insediamento preesistente, chiaramente non con questa struttura come la osserviamo oggi, quindi molto più antico. Tali supposizioni si deducono in base alle ricerche dell’archeologa Marina De Franceschini, che si interessa con passione di Archeoastronomia e nelle sue ricerche e varie pubblicazioni sul Panteon e la sua particolare posizione della luce solare solare diretta nei solstizi, ha trovato notevoli affinità con il nostro Sant’ Elia Vecchio . Un capitolo aperto anche dall’ intuizione del prof. Salvatore Mongiardo. che ha visto oltre la stupenda struttura di pietre, una storia nuova e affascinante, che apre nuovi scenari storici e filosofici, che proiettano il monastero curinghese in una dimensione di mistero , ponendoci nuovi interrogativi, ai quali solo un attento esame di tutti i tasselli fin qui riscontrati e una più approfondita campagna di ricerche archeologiche e scavi, di questo gioiello di pietra e luce, potranno dare risposte concrete .
 Brevemente constatiamo, da esperienza diretta, che in particolare nel solstizio estivo la luce entra dall’ oculo centrale della cupola e a mezzogiorno cade esattamente al centro della parete nord, difronte alla porta, punto dove sicuramente era posto l’ Altare col Santissimo, quindi il punto più importante della chiesa . Difficile congetturarne la casualità, ma è certamente una posizioni ben studiata e calcolata con un’attento studio delle fasi solari. Potremo anche congetturare che il nome dato a questo monastero  San’ Elia ( profeta del Vecchio Testamento, si rifà al nome  Elios  = Sole) .   Ancora un mistero avvolge questo luogo, in una cella adibita a cappella di sant’ Elia durante gli scavi archeologici del 1990 guidati dall’ archeologo prof. Francesco A. Cuteri, viene rinvenuta una sepoltura con all’ interno due scheletri; analizzando i reperti ossei si scopre che gli scheletri appartengono a due donne delle quali una con il cranio sfondato quindi morta per un evento violento , l’ altra con le gambe tagliate . Un mistero che ancora non trova soluzione, un mistero anche questo che rende il monastero di Sant’ Elia Vecchio e il suo Platano un luogo dove la storia, la fede, la vita, la morte, convivono nel fruscio del vento tra le foglie del Platano millenario che veglia sul Monastero ormai silenzioso, compagni di viaggio nel tempo, nella storia, nella legenda.
     Cesare Natale Cesareo