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Dal convegno “Paesaggi da indossare” nuovi input sulle potenzialità del comparto
Stufi del nylon e del poliestere? Avete mai pensato di indossare un maglioncino di ginestra? Non è impossibile. Le alternative naturali e sostenibili ai filati sintetici esistono: sono gli agritessuti. A puntarci, da tempo, è Donne in Campo, l’Associazione al femminile di Cia-Agricoltori Italiani con all’attivo un progetto dedicato e iniziative di promozione su tutto il territorio nazionale. Ultima quella di Donne in Campo-Cia Calabria con il convegno “Paesaggi da indossare. L’esperienza calabrese con la seta e la ginestra”.

Creare una filiera del tessile calabrese ecosostenibile, l’obiettivo e il tema dell’incontro che ha visto mondo universitario, politico e istituzionale, imprese del settore ragionare sulle potenzialità dei tessuti naturali e delle tinture green realizzate con scarti o sottoprodotti agricoli.

A tal proposito, indubbio il ruolo delle donne come motore di innovazione, così come ricordato da Antonella Greco, presidente di Donne in Campo-Cia Calabria, intervenuta dopo i saluti d’apertura del direttore regionale Cia Franco Belmonte e del presidente regionale Nicodemo Podella. Del resto, ha spiegato Greco “il settore della tessitura è tradizionalmente di appannaggio femminile”.

Al convegno, moderato dalla giornalista e imprenditrice agricola Rosaria Talarico, ha preso parte anche Silvia Cappellozza, ricercatrice Crea (Consiglio per le ricerche in agricoltura), che ha incentrato il suo intervento sull’esperienza veneta nella filiera degli agritessuti, sulle loro caratteristiche di vestibilità e di basso impatto ambientale che permette la biodegradabilità del prodotto finito.

Luigia Iuliano, divulgatrice dell’Arsac ha, invece, raccontato le attività dei centri sperimentali che hanno riportato in vita le antiche tecniche di tessitura di seta e ginestra, usando i telai tradizionali, con un focus sui costi di produzione della materia prima che bisogna cercare di contenere per non incidere negativamente su tutta la filiera. Giuseppina Anna Corrente, ricercatrice del progetto Smafinec dell’università della Calabria con partner anche la Fiat che da molti anni coniuga la ricerca scientifica con la valorizzazione delle fibre naturali, anche nella creazione di arredi scolastici.

Un saluto in collegamento via internet è arrivato anche da Gianluca Gallo, assessore all’agricoltura della regione Calabria, che ha assicurato la presenza di risorse pubbliche da investire nella filiera degli agritessuti. Il suo intervento completa quello della dirigente del dipartimento Agricoltura Alessandra Celi che ha ricordato come la scarsa capacità degli imprenditori e degli enti locali calabresi di fare rete ha fatto sì che gli obiettivi relativi alla misura 16 sulla cooperazione siano quelli più in basso in classifica, con minore spesa rispetto alle cifre impegnate.

Sulla stessa linea Enzo Bossio, fabbrica tessile di Calopezzati, che ha prodotto per Fendi un’esclusivissima “baguette” (l’iconica borsa del marchio) portando il proprio sapere artigianale ai vertici della moda italiana e che si augura una maggiore collaborazione tra gli imprenditori per essere più competitivi sul mercato. A fargli eco la testimonianza di Pasquale Filippelli, esperto di tessitura e formatore, e di Lina Pecora del Consiglio nazionale dottori agronomi e forestali.

“Oggi, la produzione di lino, canapa e gelso da seta coinvolge circa 2 mila aziende agricole in Italia, per un fatturato di quasi 30 milioni di euro con le attività connesse -il messaggio della presidente nazionale di Donne in Campo-Cia, Pina Terenzi. Purtroppo, però, l’industria tessile è la seconda più inquinante al mondo, responsabile del 20% dello spreco globale di acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica. Una maglietta richiede in media 2.700 litri d’acqua per essere prodotta, un jeans fino a 10 mila litri, utilizzando soprattutto fibre e coloranti di sintesi, fino a rappresentare il 15-20% del fatturato del settore in Italia (4,2 miliardi)”.

D’altra parte -ha aggiunto- è la stessa Agenda 2030 Onu per lo Sviluppo Sostenibile a sollecitare la costruzione di nuovi sistemi di produzione a minore impatto ambientale, per ridurre l’inquinamento e aumentare il riciclo delle risorse. Considerato che il consumo mondiale di indumenti è destinato a crescere di oltre il 60% entro il 2030, è dunque evidente -ha concluso Terenzi- quanto siano enormi le potenzialità di una filiera del tessile ecologicamente orientata”.

Dunque, se la filiera degli agritessuti venisse incoraggiata come sostengono le imprenditrici di Donne in Campo-Cia, questa cifra potrebbe triplicare già nel prossimo triennio. Per esempio, coinvolgendo nell’immediato le 3 mila imprese produttrici di piante officinali (alcune anche tintorie, come lavanda e camomilla), allargandone il settore di mercato.

Durante l’evento sono stati anche esposti abiti e prodotti realizzati con stoffe bio e colorati con tinte naturali: i vestiti da sera della eco-stilista Eleonora Riccio, ricamati a mano e tinti con eucalipto rosa, acero, mirto e cavolo rosso; i modelli realizzati in lino e ginestra dalla stilista calabrese Flavia Amato dell’atelier Malìa Lab; la seta grezza e le sciarpe di Nido di seta, una realtà calabrese di successo che a San Floro ha riattivato un gelseto comunale e riportando in vita l’intera filiera della seta. Donne in Campo-Cia Calabria ha provato a far “sfilare” insieme agricoltura, ambiente e moda. Una sfida che risponde alle richieste di capi sostenibili e di qualità. La politica non può sottrarsi.