Dalle figure del sacro alle maschere di pietra: viaggio nel centro storico di Filadelfia
Il centro storico di Filadelfia si caratterizza per la presenza di una pluralità di simboli con diverse funzionalità protettive. Benché si tratti di una città edificata sul finire dell’età moderna sulla base di una pianificazione razionale (foto n. 1), in sede attuativa le resistenze mentali di antica origine hanno avuto un certo peso nella riproposizione di emblemi riconducibili a credenze che si perdono nella notte dei tempi. Il risultato è un campionario significativo di maschere apotropaiche, di simboli allegorici ed esoterici, in genere realizzati con materiali vari: stucco, malta, bronzo, materiale lapideo, pigmenti.
Oltre alle più diffuse e familiari produzioni religiose all’interno e all’esterno degli edifici religiosi, si scorgono ancora idoli apollinei e distaccati, invadenti, minacciosi, corrucciati, torvi, grotteschi, caricaturali; a volte la materia è deformata, rappresentando esseri sfigurati o scarnificati dall’usura del tempo e da interventi di recupero edilizio inadeguati.
Foto. n. 1 – piazza G.A. Serrao
A volte, il tessuto urbano diventa uno scenario di segni ambivalenti in un rimando costante tra razionale e irrazionale, razionale e simbolico, vecchio e nuovo. Questo spazio concepito dai fondatori di Filadelfia nel rispetto di prescrizioni funzionali al miglioramento della vivibilità urbana ( foto n. 2), è stato contaminato nel lungo periodo da credenze e superstizioni che hanno mantenuto una certa vitalità fino alla metà del XX secolo. In ogni caso, si tratta di una cultura materiale multiforme ormai in ritirata, ma ancora affascinante per caratteristiche ed espressività densi di significati da riscoprire.
Foto n. 2 – progetto di fondazione di Filadelfia
La ricerca si è articolata in due fasi: nella prima i reperti culturali sono stati classificati in livelli omogenei; nella seconda è stata verificata la sussistenza di una precisa corrispondenza tra reperti e gruppi sociali di riferimento. In molti casi il materiale culturale sfuggiva, però, al criterio adottato. Tuttavia, emergeva gradatamente una bellezza nascosta, capace di trasmettere autenticità alla storia collettiva. In tale direzione, gli elementi meramente decorativi e muti si riproponevano come figure di un’architettura parlante, dotate di messaggi e funzioni, esito di committenze auliche o popolari.
Nonostante il patrimonio perduto sia considerevole, quello che ancora possiamo ammirare spazia dalle più eloquenti e familiari rappresentazioni del sacro, alle meno note presenze profane e “straniere”; una materia eterogenea, certo, ma con un tratto comune di resilienza all’impresa devastatrice della cementificazione. Imprevedibilmente, le figure si esibiscono ancora nelle strade, nei prospetti dei palazzi e delle case, negli interni degli edifici più rappresentativi, nelle edicole votive più discrete, dissimulate negli elementi decorativi.
Anche la committenza nella sua eterogeneità manifesta una pluralità espressiva attraverso le visioni e le ideologie dei diversi gruppi sociali: di coloro, cioè, che possedevano la parola, ma ritenevano che non bastasse al loro desiderio di potenza espressiva; e ancora, di coloro che possedevano parole e pietà religiosa; di coloro che non avevano né parola né pietà, perché relegati in una condizione subalterna; di coloro che detenevano cultura e senso religioso. In questa pluralità di credenze, di livelli sociali e di mentalità, si può intravedere una tensione comune alla relazione col “mistero”, per certi aspetti sincretica, dove anche il livello profano, in prospettiva, aspirava ad essere “santificato”.
Foto n. 3 – piazza G.A. Serrao vista dall’alto
Va da sé che il balbettio di un patrimonio in frantumi può diventare più eloquente e vivo se la strada, da luogo di passaggio, verrà reinterpretata come un vissuto scandito dal ritmo del cammino lento, per riconquistare l’etica attraverso l’estetica. La figura è il fondamento della nostra cultura millenaria; da essa sgorga una ricchezza di significati, di emozioni e di bellezza che ricreano visioni e prospettive del vivere.
Dallo studio sul campo è nata l’esigenza di predisporre una prima ordinata classificazione del patrimonio figurativo, ripartito in quattro livelli tematici: 1) aulico-profano; 2) aulico – sacro 3) popolare – profano; 4) popolare – sacro. Tuttavia, si è osservato che parte di tale patrimonio tende a sfuggire a una rigida classificazione, poiché in molti casi i livelli si sovrappongono e si contaminano: volti ed effigi del sacro e del profano si fondono e confondono nei significati e nell’intensità dei poteri che la comunità, di volta in volta, era propensa ad attribuirvi. Ne discende la configurazione di una zona eterogenea di rappresentazioni ambigue.
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Aulico- profano – La fontana del Ceramidu fu edificata nel 1895 da Michele La Sorte, su incarico dell’Amministrazione Comunale di Filadelfia (foto n. 4). Non è dato sapere la fonte d’ispirazione del capo d’arte nella progettazione e nell’esecuzione. Il fontanile evidenzia una elaborata visione culturale che sostanzialmente stabilisce una corrispondenza tra le forme architettoniche e le virtù di cui l’acqua è portatrice. Benché siano andati perduti la parte sommitale del caduceo e i due quadrati sormontati da due sfere-pigne che ne delimitavano il fregio, è ben leggibile la tipologia dei due serpenti rostrati che si mostrano quasi nella fase conclusiva di una metamorfosi, nell’atto di assumere sembianze di vita animata, ma senza recidere i legami col mondo vegetale.
I due solidi costituiscono la rappresentazione simbolica del lavoro massonico e delle sue finalità; il perfezionamento nella dimensione umana e sociale insita nel cubo, e l’elevazione spirituale nella sfera. In effetti, la metamorfosi è un’allegoria coerente e cronologicamente distribuita che segue in alzato il prospetto. A partire dal basso, le due vasche appaiono come riproduzioni mimetiche di calici floreali; nella parte mediana anche le figure umane, benché sfigurate dalla vandalica rimozione dei boccagli bronzei, non sembrano aver abbandonato del tutto lo stato metamorfico; la parte sommitale è riservata alle divinità ctonie.
Fig. n. 4 – Fontana del “Ceramidu” (Briselluzzu) ( Tavola del progetto originale)
Il caduceo, riferito ad Ermete (Mercurio) sintetizza la Scienza Sacra e testimonia la costante vitalità di correnti esoteriche della cittadina. Al tempo stesso costituisce un simbolo vivente e una struttura universale, essendo la chiave che permette di decifrare il senso delle corrispondenze tra cielo, mondo e uomo. Il serpente rostrato simboleggia invece una particolare prerogativa del dio considerato “civilizzatore”.
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Dalle figure del sacro alle maschere di pietra – viaggio nel centro storico di Filadelfia
Autore Vito Rondinelli