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CALABRIA E MONDO TRA PASSATO E FUTURO

Comunità pacifiche nell’istmo Squillace- Lamezia

La Calabria è molto amata dai visitatori che rimangono colpiti dalla sua bellezza, ed è amata come madre terra dagli stessi Calabresi. Tuttavia circola in Italia un disprezzo della Calabria, considerata l’ultima terra d’Europa, arretrata e criminale. E c’è anche un certo disprezzo dei Calabresi verso la loro terra per i motivi che vedremo più avanti.

Le mie ricerche storiche e antropologiche, iniziate con la scrittura a Milano del mio primo libro Ritorno in Calabria (1994), al quale è seguito poi il ritorno effettivo alla madre terra, mi portano a scrivere quanto da tempo mi frullava indistintamente nel cervello, che ora invece mi appare come un insieme ordinato verso un fine preciso. Espongo queste mie idee seguendo il consiglio di Einstein che affermava: Se uno crede di aver scoperto qualcosa di nuovo, ha il dovere morale di dirlo.

Gli storici fanno iniziare la storia della Calabria con la colonizzazione greca, mentre in realtà la Calabria era abitata già nel 47500 a. C., come conferma l’antropologia. Inoltre, un’indagine recente dell’Università di Firenze ha datato le tombe a inumazione dentro la Grotta del Romito di Papasidero (Cosenza) al 22500 a. C. Facciamo ora un salto fino all’8000 a. C., l’epoca neolitica quando il nostro territorio cominciò a beneficiare dell’arrivo dell’agricoltura, nata nella Mezzaluna Fertile che comprendeva Egitto, Palestina, Fenicia, Turchia meridionale, Siria e Iraq.

L’agricoltura cambiò il modo di vivere anche nell’Antica Europa, come è chiamato l’insieme di Ucraina meridionale, Moldavia, Ungheria, Romania, Balcani, Grecia con le isole e Italia meridionale con Calabria e Sicilia. Le popolazioni di quelle terre smisero di fare i raccoglitori e gli allevatori nomadi e diventarono agricoltori stanziali. Tutto ciò è confermato da numerosissimi ritrovamenti che l’archeologia ha portato alla luce, mentre antropologia, ricerca genetica e linguistica indicano che in quelle popolazioni vigeva la discendenza matrilineare, le donne guidavano la società, non c’erano armi né guerre, la vita era comunitaria e l’alimentazione era basata sui cereali. Regnava la libertà di tutti, uomini e donne, e l’assenza di spirito competitivo eliminava i conflitti alla radice.

La vita scorreva felice in quell’Età dell’Oro, ritenuta finora una invenzione dei poeti, mentre ora sappiamo che è realmente esistita dall’8000 al 4000 a. C. circa. A partire da quest’ultimo periodo, alcune tribù nomadi delle steppe del Volga e del Caucaso, gli Indoeuropei, invasero l’Antica Europa con uomini armati a cavallo che avevano addomesticato, ed erano comandati da capi che possedevano donne e schiavi. Le invasioni degli Indoeuropei avvennero a diverse ondate in migliaia di anni, ma per la sua lontananza non arrivarono in Calabria, dove si continuò a vivere in comunità pacifiche attorno alla Prima Italia o Istmo Squillace- Lamezia.

La colonizzazione greca classica, iniziata intorno all’750 a. C. con la fondazione di poleis tra cui Crotone, in realtà era stata preceduta diversi secoli prima da altre colonizzazioni greche che portarono Ausoni, Enotri, Opici e Coni nell’Italia meridionale. Quei primi Greci, come poi Achei, Dori e altri della colonizzazione classica, discendevano da quegli Indoeuropei che avevano sottomesso la Grecia. Difatti, erano armati, avevano cavalli, amavano la guerra, praticavano la schiavitù ed erano costantemente in conflitto fuori e dentro le loro poleis perché fortemente competitivi.

La colonizzazione greca classica creò in Calabria centri importanti come Crotone, Caulonia, Locri e Reggio sul Mar Jonio, e Medma, Hipponion e Terina sul Mar Tirreno. L’interno della Calabria, tuttavia, continuò a essere abitato dalle popolazioni locali che, intorno al 2000-1500 a. C., Italo fuse con i suoi Enotri della prima colonizzazione greca: nacque così l’Italia, in greco chiamata Italìa. La presenza nel Golfo di Squillace di un popolo di Italici, i Lacini, che erano presenti al tempo della fondazione di Crotone, è confermata da alcuni toponimi e da notizie riportate da antichi autori greci, i quali scrissero che il fondatore greco di Crotone, Kroton, aveva sposato una figlia di Lacino. Ancora oggi è chiamata Lacina la montagna che si estende tra Brognaturo, Cardinale, Serra San Bruno e altri comuni; e Ancinale, corruzione di Lacinale, si chiama il fiume che scende dalla Lacina e sbocca a Soverato. Capo Lacinio (Lakinion Akron) si chiamava, e si chiama ancora, il territorio attorno al tempio di Hera Lacina che dista 12 km da Crotone. Il filosofo Porfirio scrisse nella sua Vita di Pitagora che, dopo la trionfale accoglienza iniziale di Pitagora a Crotone, egli andò poi a vivere con duemila persone venute ad ascoltarlo che lo vollero loro legislatore. Essi non tornarono più nei loro villaggi, ma ne crearono uno nuovo a Capo Lacinio, dove si trasferirono con i capi, mogli e figli, e dove Pitagora aprì la sua scuola.

Per chiarezza, mettiamo a raffronto il modello etico dei due popoli:

Italici Greci

Libertà Schiavitù

Amicizia Ostilità

Comunità di vita e di beni Arricchimento individuale

Libertà della donna Donna chiusa nel gineceo

Alimentazione con cereali Alimentazione con carne

Il contrasto trai i due modi di vita portò alle sommosse anti pitagoriche con l’uccisione e la cacciata dei pitagorici da varie poleis a cominciare proprio da Crotone. Gli storici fanno confusione tra Grecia e Magna Grecia, come fu chiamata la Calabria di adesso, per due motivi che Porfirio sottolineava:

la vita irreprensibile dei pitagorici

l’altezza della loro filosofia.

L’abbondanza dei raccolti, i templi e le opere d’arte ispirati dai modelli greci non ebbero alcuna influenza nella denominazione di Magna Grecia, della quale il fondatore fu Pitagora, come testualmente scriveva Porfirio. Generalmente si pensa che le colonie greche portarono la civiltà ad Italici arretrati, ma dalle nostre indagini emerge invece che le colonie greche segnarono l’inizio di una lunga decadenza, anche se fu il greco Pitagora a scoprire il modello etico italico che egli inserì nella lingua e nella cultura greca. Nei venticinque secoli trascorsi da Pitagora a oggi, le popolazioni della Calabria hanno subito venti invasioni e dominazioni straniere, un fatto forse unico nella storia, che conviene specificare per comprendere l’ampiezza del fenomeno:

i Greci con le colonie;

Pirro con gli elefanti;

i Bruzi, schiavi pastori della Lucania;

i Siracusani con i due Dionisio;

Annibale, acquartierato proprio a Capo Lacinio, da dove partì per Cartagine;

Spartaco con gli schiavi;

i Romani;

Alarico con i Goti;

i Longobardi, che distrussero il Vivarium di Cassiodoro;

i Bizantini

gli Arabi;

i Normanni;

gli Svevi;

gli Angioini;

gli Aragonesi;

gli Spagnoli;

i Borboni;

i Francesi;

gli Austriaci;

i Piemontesi.

I popoli della Calabria, però, non hanno mai fatto guerra a nessuno e hanno sempre subito le occupazioni straniere perché la guerra non era nella loro indole e ignoravano l’uso delle armi. A parte le lotte tra le colonie greche come Crotone, Locri e Sibari, in Calabria non è mai successo che una città abbia assalito un’altra città, cosa che invece avveniva in pieno Rinascimento tra Firenze, Arezzo, Pisa, Siena e Lucca. Non possiamo seguire ora nei dettagli quelle venti dominazioni che hanno smantellato l’etica e l’identità italica: i nostri popoli hanno dovuto piegare la schiena di fronte a padroni sempre nuovi ed esigenti fino a ridursi allo stato di schiavitù e miseria. I tanto decantati Normanni, originariamente Vichinghi baltici stanziatisi in Normandia, invasero la Calabria dopo il Mille e imposero il regime feudale con la servitù della gleba al nostro popolo che aveva creato la libertà.

In Calabria la decadenza si è dimostrata più grave che altrove per una legge fisica che si può applicare all’etica: più alta è la caduta, più grave è il danno. Se una statua di marmo poggiata sul pavimento è rovesciata, si rompe in pochi pezzi, ma se cade da cento metri di altezza, finisce in frantumi irriconoscibili.

Molti Calabresi, poi, disprezzano sé stessi per fatti che non hanno commesso, ma dei quali si ritengono responsabili mentre invece ne sono le vittime: di conseguenza vivono con sensi di colpa che generano frustrazione e fatalismo. Liberare i Calabresi dai sensi di colpa è un’operazione di grande difficoltà, perché richiede conoscenze e analisi approfondite su un periodo storico particolarmente lungo e complesso. Questa difficoltà emerge anche da scrittori calabresi come Corrado Alvaro, il quale vedeva i problemi della Calabria e li descriveva in modo magistrale. Tuttavia egli non era in grado di indicarne la soluzione e scriveva perciò che non c’è una regione più misteriosa e inesplorata della Calabria. Fortunato Seminara, poi, descrisse la Calabria come una terra dove vivere era una dura condanna. Quegli scrittori hanno avuto il merito di esporre quei problemi in maniera coraggiosa, l’unica cosa che potevano fare visto che allora non si conosceva la storia completa della Calabria.

Ora noi abbiamo una visione storica molto più ampia e perciò è nostro dovere togliere i pregiudizi che si sono accumulati sulla Calabria, riportando alla luce un’identità preziosa di cui si era persa la memoria. In sostanza, il vero motivo per cui alcuni Calabresi disprezzano o ripudiano la Calabria consiste nella perdita della propria identità, quella che noi stiamo ricostruendo attraverso i fatti indiscutibili della storia. D’altra parte, l’esperienza di vita mi conferma che il cuore dei Calabresi forse non ha uguali nella generosità gratuita senza un secondo fine, nella capacità di amare ad altezze vertiginose e a profondità abissali, come Alvaro stesso aveva sottolineato scrivendo delle infinite dolcezze della Calabria.

Tempo fa una mia amica inglese venne a visitare la Calabria, incuriosita da quanto leggeva nei miei scritti. Rimase entusiasta per la bellezza dei luoghi, ma ripeteva che le persone avevano sorry faces, visi tristi, e me ne chiedeva la ragione. Come possono avere un viso allegro i Calabresi che sopravvivono in paesi svuotati dall’emigrazione, con sacchi di spazzatura abbandonati ai bordi delle strade, boschi che mostrano scheletri di alberi bruciati da incendi dolosi e criminalità agguerrita? La decadenza della Calabria ha certamente origini antiche, ma il degrado nel quale viviamo oggi ci spinge ad agire per eliminare comportamenti incivili che i molti Calabresi perbene sopportano, così come hanno sempre sopportato sopraffazione e dominazioni.

 

Einstein ci ha mostrato scenari dell’universo che il suo genio comprese, ma la sua vita fu molto travagliata dalla persecuzione razziale come Ebreo e dalle tragedie della Seconda Guerra Mondiale. Einstein ammise alla fine che la violenza e il disordine imperversavano sul mondo e concluse sconsolato che l’umanità non potrà veramente migliorare finché una sola bambina soffrirà la fame. I problemi davanti ai quali Einstein dovette arrendersi, noi oggi li possiamo risolvere con i cinque principi del Pentalogo Pitagorico:

1) libertà di tuti

2) amicizia con tutti

3) comunità di vita e di beni

4) dignità della donna

5) vegetarismo.

Questa scoperta è avvenuta nell’ambito della Nuova Scuola Pitagorica, fondata a Crotone da pochi Calabresi nel 2015. Quella fondazione dimostra che la decadenza della Calabria non è da considerare un danno irreparabile, ma invece è stato un evento provvidenziale. Difatti, la Calabria fu a lungo una terra felice e molti popoli le hanno rovesciato addosso le loro infelicità perché noi le capissimo e le sanassimo. La decadenza era perciò necessaria per aprirci gli occhi e far emergere quell’etica universale di valore matematico immutabile che Pitagora formalizzò e che arrivò a Cristo.

 

La fondazione della Nuova Scuola Pitagorica era nell’ordine delle cose, perché l’evoluzione ci chiede di vivere ad altezze che finora sono sembrate un sogno irraggiungibile. Noi siamo convinti che la nostra vera vita sia nella realizzazione dei sogni i quali, più sembrano impossibili, più sono destinati a realizzarsi. L’umanità ha sempre cercato la felicità al punto che le stesse religioni predicano la felicità come nostro destino finale che si avvererà nell’aldilà, visto che non si avvera sulla terra. Oggi appare evidente che l’infelicità del mondo deriva da quegli stessi comportamenti che hanno degradato la Calabria: armi, guerre, competizione e asservimento degli individui.

 

Le invasioni indoeuropee non sono roba del passato, perché il modello indoeuropeo è oggi più forte che mai e domina con spirito altamente competitivo su persone, società, finanza e Stati. I tre grandi del momento, USA, Russia e Cina stanno facendo un pericolosissimo gioco indoeuropeo per vincere l’uno sugli altri. Perciò è indispensabile affidare la guida dei popoli alle donne, perché i maschi hanno imposto da millenni l’impero del male e possono distruggere il pianeta con le armi nucleari.

 

Nel 510 a. C. Pitagora si salvò a stento dall’insurrezione contro i pitagorici scoppiata a Crotone e dovette fuggire cercando asilo a Caulonia, Locri, Taranto e Metaponto, dove morì rifugiato nel tempio delle Muse. Sembrava la fine di tutto ed invece fu l’inizio della bella avventura che finalmente ci ha portato a riscoprire il valore eterno del messaggio pitagorico. La grande statua in bronzo di Pitagora, che il crotonese Gaspare Da Brescia sta realizzando a Crotone, dove sarà eretta, è come un faro che guida l’umanità in cammino verso

quella felicità perduta e ora ritrovata.